Lunedì, 03 Dicembre 2018 21:46

Uomini e donne di frontiera

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Ieri per la prima volta sono entrato in un carcere, con altri capi ed RS del Brugehrio 1, per animare con canti, chitarra e jambè la Messa domenicale.

Tre messe in serie, una dietro l’altra, una ogni due sezioni di detenuti, dalle 8.30 alle 12.00. Esperienza potente, che lascia il segno. Difficile restituirla, se non in minima parte.
Il passaggio al metal detector, le porte automatizzate che lentamente si aprono. I corridoi con le celle. La piccola e graziosa cappellina. Il quadro della Madonna che abbraccia teneramente il bambino. Le telecamere ai quattro angoli.

E arrivano. Volti di ogni età, con differenti espressioni ma tutti segnati dalla sofferenza. Si giocano nella cappellina la loro unica ora d’aria del giorno.

Molti vengono all’altare a salutare e stringere la mano al don. Lui dispensa sorrisi e carezze a tutti. Ad uno della sezione infermeria indugia con la mano sulla guancia e con il pollice gli segna a fronte.

Si dispongono ordinati sulle panche. Una sezione a destra, una a sinistra. Una suora in mezzo a loro, insieme ai colontari di "Carcere Aperto". In fondo si schierano le guardie.

Uno avvicinandosi al don gli consegna un foglietto chiedendo se può leggerlo. Sono le condoglianze per uno di loro, lì presente, cui è appena morta la mamma. A volte non ti fanno uscire nemmeno per il funerale di tua mamma. Altre volte sei tu che non vuoi uscire per non presentarti in chiesa scortato dalle guardie. E la piangi lontano e in silenzio, nella cappella di un carcere.

Primo canto. Camminerò nella tua strada Signor. Prima lettura. Dal libro del profeta Geremia. “Verranno giorni nei quali realizzerò le promesse di bene”. Seconda lettura. Dalla lettera di San Paolo apostolo ai TessaloCINESI :-). “Vi preghiamo e supplichiamo affinché possiate progredire ancora di più. Voi conoscete quali regole di vita vi abbiamo dato da parte del Signore Gesù”. Alleluia delle lampadine. Vangelo secondo Luca. “Risollevatevi e alzate il capo, perché la vostra liberazione è vicina”.

Le parole di don Augusto durante la predica, che arrivano dritte dritte. Tutti gli occhi su di lui. Le provocazioni, le reazioni.

L’accenno ai tre giovani arrivati giusto quella notte, di cui hanno parlato i giornali. Quelli che sul treno hanno picchiato selvaggiamente un uomo che li invitava ad alzarsi per fare posto ad altri. Disappunto, fervore. “Preghino di non arrivarci per le mani”. “Li massacriamo”. “Anziani, donne e bambini non si toccano".

“…E se invece gli parlaste e provaste a fargli capire il loro sbaglio? Chi può farlo meglio di voi, che conoscete molto bene il malessere che porta a certi comportamenti?”. Silenzio. “La strada è lunga, don”. "... Ma è la strada che ci indica il Vangelo".

"...E il gommista che ha sparato?”. “…Ha fatto bene! Fanno bene a spararci! Bisogna sparare, a quelli come noi”. “Ognuno di noi è una risorsa, non dimentichiamolo mai”.

Offertorio. Tu sei la mia vita, altro io non ho. Lo scambio della pace, tutto quel muoversi, tutte quelle strette di mano. Nella compostezza generale sembra una piccola “rivolta”.

Il padre nostro tenendosi per mano. Comunione. Cuore, prendi questo mio cuore, fa che si spalanchi al mondo germogliando per quegli occhi che non sanno pianger più. “Beati gli occhi che sanno ancora piangere. Adesso dedichiamo un Ave Maria pensando ai nostri cari. Alle nostre mogli, ai nostri figli”. Gli occhi lucidi.

Benedizione. Danza la vita al ritmo dello spirito, danza, danza, al ritmo che c’è in te. Tanti che si lasciano andare e battono le mani. E prima di andare vengono a stringerci la mano e ringraziarci, e salutare di nuovo il don. Un ragazzo gli dice “mi raccomando Roma-Inter!”. Risate.
Come sarebbe bello che in ogni carcere, ogni domenica, ci fossero degli scout ad animare la Messa. Del resto noi siamo uomini e donne di frontiera. E non c’è luogo più inesplorato e sconosciuto di un carcere.

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